Sembra una di quelle bravate da Amici miei, il Puttantour. La macchinata di amici che si fa il giro delle puttane della città non per fare sesso ma per fare serata è una specie di divertimento vecchio quanto il mondo e che talvolta non ha neppure età.
Non è vero che è una bizzarra avventura da ragazzini, spesso ci prendono gusto pure gli adulti.
Alle ore piccole, dopo pub o discoteca, o durante le serate un po’ noiose, la combriccola si riunisce e parte a battere (che caso!) la mappa dei luoghi in cui le prostitute prestano la loro opera di pubblica utilità. Sghignazzano, fanno domande, fingono abbordaggi, sparano smargiassate un tantino volgarotte e si deliziano gli occhi. L’intento non è scopare ma qualche volta la scopata ci scappa, come rito di iniziazione del verginello del gruppo.
Nessuno probabilmente si rende conto che le sex workers vengono così importunate o infastidite, che sono lì a fare il loro mestiere, che magari sono stanche e fa freddo e preferirebbero un cliente pagante a una manica di spiritosi sfaccendati. D’altra parte il Puttantour è una tradizione, un vizio che è difficile togliersi, un’eccitazione a buon mercato.
Comunque cosa c’è di seducente e intrigante nel Puttantour
che agita l’allegria degli uomini?
Per qualcuno, purtroppo, una sorta di sprezzo per il lavoro di strada e le sue eroine, per altri invece un vero e proprio ingenuo viaggio nell’avventura della trasgressione. Insieme si sentono leoni, allungano le mani e le voci fuori dai finestrini, mostrano il rigonfiamento virile nella patta dei pantaloni, scherniscono senza neppure rendersene conto. Poi ci sono quelli brilli e su di giri cui sembra davvero fantastica la libertà di spassarsela in qualsiasi modo, statali e fuocherelli inclusi.
Quante seghe si fanno dopo il Puttantour?
Non è dato saperlo con precisione. Lo squattrinato che deve accontentarsi di immaginare senza trombare sicuramente arriva a casa e un servizietto se lo dedica. Gli altri forse sono beati così, di quattro cazzate e quattro risate.
Ma poi c’è l’altra faccia, del puttantour.
Quella che non è una fregola sciocca ma una vera e propria smania. Quella dei tempi d’oro, quella dei mille sogni del sesso a sorpresa, consumato in mille luoghi, desiderato e carpito nel buio di ogni anfratto, negli odori e negli ormoni incontrati e attizzati come una fede. Quella della scoperta, del gusto di farsene una nuova o di innamorarsi ogni volta per un’ora della stessa minigonna e delle stesse calze a rete. Quella di ficcarsi dentro quei sapori da strada, quella di uscire di casa con il cazzo duro per andare a metterlo al posto giusto, quella di vivere la libidine del possesso puro.
Quasi una poesia. Una poesia di verità e realtà, fatta di corpi e parole che non avevano altro intento che respirarsi in un orgasmo, fatta di immagini e pulsioni forti come un film porno che non finisce mai. Fatta di un’intimità di languori scabrosi, fatta di lingue e bocche che succhiavano la linfa degli attimi.
Il puttantour che svuota i coglioni e li inzuppa di emozioni.
Che forse oggi è un po’ una nostalgia canaglia no?
In effetti faceva storia e Storia, dava un senso alla notte, ai lampioni, ai fuocherelli e agli stivaloni con super tacco. Dava un senso pure all’euforia di sentirsi puttanieri nell’anima. Non c’era niente, e forse ancora non c’è niente, di più erotico ed eroico di quell’amplesso primordiale con gli istinti.
E soprattutto un divertimento è un gioco per noi uomini
Appuntamento fisso del finale del venerdì o del sabato sera, anzi, di qualunque sera si uscisse con gli amici prima di tornare a casa. Bei tempi… E’ vero, come dici tu, non per fare sesso, ma per guardare, per parlare, per respirare quell’aria di mistero e di perdizione che tanto desideravamo. E desidero ancora oggi…
Avevo una compagna di appartamento quando frequentavo la facoltà di filosofia a Bologna. La sera, ogni sera, usciva. Indossava minigonne vertiginose e tacchi altissimi, una pelliccia colorata si truccava vistosamente e usava quella bigiotteria pacchiana che acquisti nei negozi di merceria. Usciva sia che facesse freddo, con la pioggia o d’estate. Non mi dava spiegazioni e nemmeno mi raccontava che faceva la cubista in discoteca, taceva perchè non prendeva in giro nessuno. Ogni giorno mi rendeva sempre più partecipe della sue esperienze, mi dava la possibilità di sapere cosa le stesse accadendo, mi offriva un pezzo del suo mondo, finalmente ero all’altezza di una outsider. Mi parlava dei clienti, mi chiedeva consigli sul vestiario e rispondeva al telefono davanti a me. Mi stava aprendo un mondo. Non è mai arrivata con nessuno a casa e non potevo nemmeno immaginare dove potesse portarla il tassista che tutte le sere alle nove la veniva a prendere.Tornava tanto tardi e si svegliata ancor piú tardi. Una sera mi chiese di accompagnarla perchè le si sarebbe fatto tardi e io accettai, arrivammo in una pensilina, lungo la via Emilia. Scese dalla macchina e si avviò verso un gruppo di ragazze senza che prima mi avesse augurato una buona serata. Ho messo la prima e me ne sono andata col cuore in gola.
Un saluto a te Serena
Angela